I numeri ufficiali inerenti a SPID raccontano una realtà dei fatti ben chiara e definita: oltre 34,2 milioni di identità digitali erogate finora e un utilizzo in costante crescita che interessa la popolazione in modo trasversale. Eppure, a sette anni circa di distanza dalla sua introduzione, c’è chi afferma che lo strumento possa essere già prossimo al congedo, per lasciare il posto all’impiego esclusivo della Carta d’Identità Elettronica oppure a un’altra app di cui oggi ancora non conosciamo alcun dettaglio. O, almeno, questa è l’ipotesi che circola ormai da qualche mese, resa più concreta a fine dicembre dalle parole di un rappresentante dell’esecutivo.

SPID e le convenzioni con i gestori

Spegnere gradualmente SPID per arrivare ad avere la Carta d’Identità Elettronica come unica identità digitale. È la volontà manifestata poco prima di Natale da Alessio Butti, sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con delega all’Innovazione Tecnologica. Nei giorni immediatamente successivi è giunto un parziale dietrofront del governo. Si è reso necessario per placare gli animi in vista delle festività e, soprattutto, per rassicurare coloro che hanno fin qui scelto di aderire al sistema per l’accesso ai servizi della Pubblica Amministrazione, non sempre senza difficoltà.

Si torna a parlarne ora. Perché? Andiamo con ordine. Anzitutto, a fine 2021 sono scadute le convenzioni con gli undici gestori autorizzati a rilasciare le credenziali: TeamSystem, TIM, Register.it, Sielte, Poste Italiane, Namirial, Lepida, Intesa, InfoCert, Aruba e Etna Hitech. L’interruzione del funzionamento è stata scongiurata grazie a una proroga dei contratti, che non ha però fatto altro se non spostare più in là di qualche mese il termine. Ora è fissato nel 22 aprile 2023. Ad oggi, stando a quanto emerso, non sono stato siglati nuovi accordi. Un altro fattore che ha riportato in auge la discussione è la pubblicazione su La Stampa della notizia relativa a un incontro avvenuto lunedì tra il direttore generale di AgID, Francesco Paorici, e le undici aziende citate poc’anzi.

Sul tavolo diverse questioni. La prima e più importante riguarda la necessità di rendere economicamente sostenibile la gestione di SPID. L’incremento nella frequenza di utilizzo da parte dei cittadini e l’aumento nel numero delle identità vanno infatti di pari passo con l’escalation dei costi operativi. L’inclusione di alcune funzionalità a pagamento non si è rivelata sufficiente. La sua adozione nell’ambito delle realtà private non ha mai fatto breccia come invece accaduto con la PA. Il milione di euro riconosciuto dallo Stato su base annuale non è più ritenuto sufficiente: se ne chiedono almeno 50, da dividere.

L’ipotesi CIE: passaggio di consegne o fusione?

L’altra richiesta giunta dalle aziende si concretizza nella pretesa di essere coinvolte nel caso in cui l’Italia dovesse pensare a un cambio di rotta. In che modo? Passando dall’eventuale abbandono del sistema attuale o da un’ipotetica fusione con CIE, attraverso un percorso ancora tutto da definire.

Nulla è deciso, insomma. Al netto delle valutazioni di natura prettamente economica, non si potrà non tenere conto anche di ciò che significherebbe togliere improvvisamente di mezzo uno strumento che, seppur perfettibile sotto diversi aspetti, per molti ha semplificato le modalità di fruizione dei servizi pubblici, al pari (e al fianco) di altri strumenti come l’app IO o il Fascicolo Sanitario Elettronico solo per fare due esempi. La sua integrazione si è talvolta rivelata tutt’altro che indolore, spinta, finanziata e sostenuta con l’obiettivo di lasciarsi alle spalle la piaga di un’eccessiva frammentazione nell’accesso ai portali della PA. Come risultato, possiamo però oggi spesso evitare le code agli sportelli e contare sulla digitalizzazione di alcune pratiche fino a poco tempo fa lunghe ed esclusivamente cartacee.

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